L’incontro con i sacerdoti e consacrati nella Basilica di San Zeno, definita “una tra le più belle d’Italia che ha ispirato poeti come Dante e Carducci”, ha aperto la visita pastorale del Papa a Verona. La grande festa nella città descritta anche da Shakespeare ha avuto inizio, alla vigilia della solennità di Pentecoste, con l’atterraggio nel Piazzale adiacente allo Stadio Bentegodi alle 7.55. Il Pontefice è stato accolto dal vescovo, monsignor Domenico Pompili, e dalle autorità locali, tra cui il sindaco Damiano Tommasi e il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Il trasferimento in auto nella Basilica del Santo patrono della città scaligera – affollata all’esterno da circa 5.500 persone e 800 all’interno – ha poi preceduto il primo discorso di questa giornata veronese: l’abbraccio con presbiteri, diaconi e religiosi. Le spoglie di San Zeno sono state trasferite dalla cripta al piano superiore, dove il Papa ha sostato in preghiera.
La riconciliazione non sia una tortura
Francesco, parlando a braccio, si è soffermato in particolare sull’importanza del perdono nel momento della confessione. Ai sacerdoti, ministri del sacramento della penitenza, ha detto: “per favore perdonate tutto”. E se non si è in grado di capire cosa dice il penitente si deve andare avanti, perché “il Signore ha capito”. “Per favore – ha aggiunto Francesco – non torturare i penitenti”. Il Pontefice ha ricordato che un cardinale, penitenziere, quando una persona “aveva difficoltà nel dire le cose” si rivolgeva al penitente con queste parole: “Vai avanti, io non ho capito ma Dio ha capito”. “Il sacramento della Riconciliazione – ha sottolineato il Papa – non sia una seduta di tortura”. “Per favore, perdonate tutto”. Ai sacerdoti Francesco ha chiesto di “perdonare senza far soffrire, aprendo i cuori alla speranza”. “La Chiesa – ha osservato – ha bisogno di perdono”.
Sulla barca del Signore
Le prime parole di Francesco, rivolte a preti e consacrati, sono state un invito a volgere lo sguardo verso lo “splendido soffitto a carena” della Basilica romanica di Verona. Un luogo, ha osservato il Pontefice, che fa sentire come all’interno di “una grande barca”. E fa pensare “al mistero della Chiesa, la barca del Signore che naviga nel mare della storia per portare a tutti la gioia del Vangelo”. Una immagine evangelica, ha spiegato il Papa, che si apre verso due direttrici: la chiamata, “ricevuta e da accogliere”, e la missione, “da compiere con audacia”.
Accogliere il dono ricevuto
La riflessione di Francesco si è poi ancora intrecciata con scorci evangelici, in particolare quelli della Galilea dove Gesù “passa lungo la riva del lago e posa il suo sguardo su una barca e su due coppie di fratelli pescatori”. Quell’incontro diventa “pura grazia”, “un dono inatteso” perché Gesù “si avvicina e li chiama a seguirlo”.
Non dimentichiamo questo: all’origine della vita cristiana c’è l’esperienza dell’incontro con il Signore, che non dipende dai nostri meriti o dal nostro impegno, ma dall’amore con cui Lui ci viene a cercare, bussando alla porta del nostro cuore e invitandoci a una relazione con Lui. Ancora di più, all’origine della vita sacerdotale e della vita consacrata non ci siamo noi, i nostri doni o qualche merito speciale, ma c’è la chiamata sorprendente del Signore, il suo sguardo misericordioso che si è chinato su di noi e ci ha scelti per questo ministero, benché non siamo migliori degli altri. È pura grazia, pura gratuità, un dono inatteso che apre il nostro cuore allo stupore davanti alla condiscendenza di Dio.
Ricordarsi della chiamata e restare con il Signore
Francesco ha esortato sacerdoti, religiosi e religiose “a non perdere mai lo stupore della chiamata”. Accogliere la chiamata ricevuta e il dono cui Dio sorprende, ha spiegato il Pontefice, è “il primo fondamento della consacrazione”. Se si smarrisce “questa coscienza e questa memoria”, si rischia di mettere al centro se stessi e non il Signore, i propri progetti e non il Regno di Dio. Seguendo questa prospettiva, il rischio è quello di vivere l’apostolato nella logica “della ricerca del consenso, invece che spendere la vita per il Vangelo”.
È Lui che ha scelto noi (cfr Gv 15,16): se ricordiamo questo, anche quando avvertiamo il peso della stanchezza e di qualche delusione, rimaniamo sereni e fiduciosi, certi che Lui non ci lascerà a mani vuote. Come i pescatori, allenati alla pazienza, anche noi, in mezzo alle sfide complesse del nostro tempo, siamo chiamati a coltivare l’atteggiamento interiore dell’attesa, della pazienza, così come la capacità di affrontare gli imprevisti, i cambiamenti, i rischi connessi alla nostra missione. Ma possiamo farlo perché all’origine del nostro ministero c’è la sua chiamata, e Lui non ci lascerà soli. Possiamo gettare la rete e attendere con fiducia. Questo ci salva, anche nei momenti più difficili; perciò ricordiamoci della chiamata, accogliamola ogni giorno, e restiamo con il Signore.
Essere audaci nella missione
Il mare di Galilea è rimasto sullo sfondo del discorso pronunciato da Papa Francesco nella Basilica di San Zeno a Verona. Dopo la risurrezione, ha ricordato il Pontefice, Gesù “incontra nuovamente i discepoli” ma li trova delusi, amareggiati da “un senso si sconfitta” perché erano usciti a pescare ma “quella notte non avevano preso nulla”. Gesù li sprona a ritentare, “a gettare ancora la rete”.
L’audacia è un dono che questa Chiesa conosce bene. Se c’è infatti una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi, è proprio quella di essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo. Si tratta di una intraprendenza che ha segnato la vostra storia: basti pensare all’impronta lasciata da tanti sacerdoti, religiosi e laici nell’Ottocento, che oggi possiamo venerare come Santi e Beati. Testimoni della fede che hanno saputo unire l’annuncio della Parola con il servizio generoso e compassionevole dei bisognosi, con una “creatività sociale” che ha portato alla nascita di scuole di formazione, di ospedali, case di cura, case di accoglienza e luoghi di spiritualità.
Nelle tempeste non cedere allo scoraggiamento
Il Pontefice ha sottolineato che molti Santi, attraverso la fantasia della carità, sono riusciti a creare una specie di “santa fratellanza capace di andare incontro ai bisogni dei più emarginati e dei più poveri”. “Una fede – ha aggiunto il Papa – che si è tradotta nell’audacia della missione”. Questo slancio serve anche oggi e i tratti distintivi di questo cammino sono molteplici: “l’audacia della testimonianza e dell’annuncio, la gioia di una fede operosa nella carità, l’intraprendenza di una Chiesa che sa cogliere i segni del nostro tempo e rispondere alle necessità di chi fa più fatica”.
A tutti, lo ripeto, a tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio. Specialmente a chi ha sete di speranza, a chi si trova costretto a vivere ai margini, ferito dalla vita, o da qualche errore commesso, o dalle ingiustizie della società, che vanno sempre a scapito dei più fragili. L’audacia di una fede operosa nella carità, voi l’avete ereditata dalla vostra storia. E allora vorrei dirvi con San Paolo: «Non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene» (2 Ts 3,13). Non cedete allo scoraggiamento: siate audaci nella missione, sappiate ancora oggi essere una Chiesa che si fa prossima, che si avvicina ai crocicchi delle strade, che cura le ferite, che testimonia la misericordia di Dio. È in questo modo che la barca del Signore, in mezzo alle tempeste del mondo, può portare in salvo tanti che altrimenti rischiano di naufragare. Le tempeste, come sappiamo, non mancano ai nostri giorni; molte di esse hanno la loro radice nell’avarizia, nella cupidigia, nella ricerca sfrenata di soddisfare il proprio io, e si alimentano in una cultura individualista, indifferente e violenta.
Andare avanti con coraggio
Il Papa ha quindi citato le parole “tanto attuali” di San Zeno, che afferma: “Non è una colpa isolata lasciarsi avvincere dai ceppi della cupidigia. […] Ma siccome tutto il mondo è stato arso dall’incendio di questa peste inestinguibile, l’avarizia, a quanto si crede, ha cessato di essere una colpa, perché non ha lasciato nessuno muoverle rimprovero”. Il rischio, ha detto Francesco riferendosi a queste riflessioni, “è che il male diventi “normale”. Invece bisogna agire come indica San Zeno che, parlando ai veronesi, dice: «Le vostre case sono aperte a tutti i viandanti, sotto di voi nessuno né vivo né morto fu visto a lungo ignudo. Ormai i nostri poveri ignorano cosa sia mendicare cibo” “Possano queste parole – ha auspicato Francesco – essere vere per voi oggi”. Il Pontefice ha poi manifestato la propria gratitudine ha quanti hanno intrapreso la strada dell’apostolato
Grazie per aver donato al Signore la vostra vita e per il vostro impegno nell’apostolato. Andate avanti con coraggio. Meglio: andiamo avanti con coraggio! Abbiamo la grazia e la gioia di stare insieme sulla nave della Chiesa, tra orizzonti meravigliosi e tempeste allarmanti, ma senza paura, perché il Signore è sempre con noi, ed è Lui ad avere il timone, a guidarci, a sostenerci. A noi il compito di accogliere la chiamata e di essere audaci nella missione. Come diceva un vostro grande santo, Daniele Comboni: «Santi e capaci. […] L’uno senza dell’altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno all’inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati dalle anime salvate.
Verona, città dell’amore
L’augurio di Francesco alla comunità di sacerdoti e consacrati incontrati nella Basilica di San Zeno è dunque quello di una “santità capace”, una fede viva “”che con carità audace semini il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana”. “E se il genio di Shakespeare – ha concluso il Papa – si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell’odio e della morte. Sognatela così, Verona, come la città dell’amore”.
[fonte www.vaticannews.va]