Spunti teologico-pastorali dal salmo 85

A cura di don Nicola Agnoli

Per poter riflettere in modo adeguato sul passaggio più emblematico e affascinante del salmo 85: “Giustizia e pace si baceranno” è necessario considerare l’intero contesto del salmo. È evidente, infatti, che esso è parte di una riflessione teologica che il salmista propone a chi fa sue le parole del salmo. Come evidenziato, esso prende le mosse dal riconoscimento dell’iniziativa di bene e di perdono che il Signore compie verso il suo popolo. L’esperienza della misericordia di Dio sta all’origine della vita di fede più autentica.

Dal perdono nasce la giustizia e la pace. Solo l’accoglienza dell’amore misericordioso, che è ben superiore e più reale di ogni possibile percezione dell’ira divina, muove alla conversione e realizza il passaggio dall’infedeltà alla fedeltà autentica e stabile, per un ritorno ad una relazione rinnovata tra Dio e il credente. L’alleanza ristabilita è dunque nuova perché va oltre le caratteristiche di un patto che stabilisce i doveri di equità e reciprocità nel rispetto di una legge-contratto; ben di più, essa è un’alleanza nuova perché fondata sull’iniziativa gratuita del perdono di Dio, essa è qualitativamente nuova, perché sbilanciata dalla parte della fedeltà incondizionata del Signore; questa novità tocca in profondità il cuore dell’uomo e lo rigenera perché arriva a conoscere la verità di Dio e la verità della propria esistenza: essere dono.

Da questa rivelazione del vivificante perdono divino si realizzano le condizioni affinché la terra degli uomini possa produrre i frutti dell’amore e della verità, della giustizia e della pace. Sono questi dei valori che caratterizzano in profondità l’essere umano, che possiamo dire è costitutivamente chiamato a realizzarli nella propria esistenza personale e comunitaria. Tuttavia, è evidente quanto questi valori siano fragili e puntualmente smentiti nelle contraddizioni della storia; eppure, è altrettanto evidente come non tramonti mai nel cuore umano il desiderio di perseguirli e realizzarli.

Quale giustizia? La riflessione e le iniziative sui temi della giustizia e della pace sono negli ultimi decenni significativamente cresciute. In particolare, va ricordato che la ricerca della giustizia autentica è una vocazione fondamentale che le religioni abramitiche Ebraismo, Cristianesimo e Islam sono chiamate a perseguire. In Genesi 18,17-19 il Signore rivela il motivo per cui ha scelto Abramo e la sua discendenza: “Egli dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra. Infatti, io l’ho scelto, perché egli raccomandi ai suoi figli e la sua famiglia dopo di lui di osservare la via del Signore e di agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso”.

Si distinguono secondo il linguaggio ebraico due generi di giustizia: una giustizia distributiva (zedeq) e una punitiva (mishepāt); la prima, che ricorre anche nel salmo 85 può essere intesa anche come carità (o elemosina), la seconda come precisa regolamentazione del diritto. Nel contesto culturale del diritto occidentale è difficile immaginare un atto di carità come atto di giustizia, ma dal punto di vista religioso si tratta di un punto fondamentale. Proprio nell’episodio della minaccia che incombe su Sodoma, simbolo del male prodotto dalla storia umana, Abramo stesso esorta Dio ad operare non secondo una giustizia rigorosa, bensì secondo una giustizia-carità (zedeq) rivelando così la sua misericordia. Purtroppo, a Sodoma non ci furono almeno “dieci uomini” (cf. Gen 18,33), anzi nemmeno uno, disponibili ad accogliere tale dono (cf. Gen 19).

È interessante nell’interpretazione giudaica la comprensione della giustizia divina nella creazione dell’uomo: “Disse rabbi Shimon: «quando il Santo, Egli sia benedetto, si accinse a creare l’uomo, gli angeli del servizio divino si divisero in gruppi ed in schiere. Alcuni dicevano: si crei; altri dicevano: non si crei. Come sta scritto: la misericordia e la verità si incontrarono, e la carità e la pace si baciarono (Sal 85,11). La misericordia diceva: si crei, perché sarà misericordioso; la verità diceva: non si crei, perché sarà tutto falsità; la carità diceva: si crei, perché è destinato a fare opere di bene; la pace diceva: non si crei, perché sarà tutto liti. Allora che fece il Santo, Egli sia benedetto? Prese la verità e la gettò a terra. Dissero gli angeli del servizio divino al Santo, Egli sia benedetto: ma tu disprezzi il tuo sigillo. Si rialzi la verità dalla terra come è detto: germogli la verità dalla terra» (Sal. 85,12)”[1]. Nella difficoltà di realizzare tutte le sue prerogative nel creare l’uomo, Dio sembra poter cedere sulla verità, ma non di certo vuole rinunciare alla misericordiosa e alla giustizia-carità (zedeq). Ancora, nella tradizione rabbinica si afferma che “il mondo si regge su tre cose: sulla verità, sulla giustizia e sulla pace”[2], nel senso che il modo per stabilire la pace è quello di fare giustizia, perché questa riflette la verità divina[3].

Compromessi per la pace? Per favorire questo, si riflette sulla categoria ammessa dalla giustizia che è quella del compromesso; pur sembrando una soluzione zoppa, in realtà da un punto di vista pratico e con senso di realismo il compromesso è spesso la via preferibile. Sempre nelle discussioni rabbiniche, si evidenzia che quando si giunge al compromesso chi avrebbe avuto ragione chiaramente viene danneggiato e l’altro contendente invece guadagna ingiustamente; inoltre, chi opera per il compromesso preferisce dare peso alla misericordia, ma di fatto si va a contraddire il fatto che nella Mishnah si insegna che la giustizia è una delle colonne del mondo. Gli stessi personaggi di Mosè e Aronne sono descritti secondo queste due categorie: la giustizia rigorosa era propria di Mosè, come la ricerca della pace, persino a scapito della verità, apparteneva ad Aronne[4]. Nel Talmud si sostiene che in fondo la ricerca del compromesso sia da lodare perché è detto dai saggi: “Dove c’è giudizio non c’è pace, dove c’è pace non c’è giudizio. Qual è il giudizio che contiene la pace? È il compromesso”[5]. In fondo il vantaggio del compromesso consiste nel fatto che esso si realizza con il pieno accordo delle parti, mentre nel giudizio rigoroso chi perde non si convincerà mai dell’infondatezza della propria richiesta[6].

La giustizia senza compromessi. Tra i testi profetici emerge certamente su questo tema il brano messianico di Is 11,1-5 che delinea il punto di equilibrio tra giustizia, pace, misericordia e verità: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (…) Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra”. In fondo, il criterio decisivo che permette l’incontro tra la giustizia e la pace è la difesa del debole, dell’umile e del povero. Questo tipo di visione della giustizia tende così a promuovere il miglioramento della società, rafforzando i sentimenti di misericordia nei confronti del prossimo e in particolare delle categorie più fragili e misere.

Su questo punto l’ideale di giustizia dei profeti ci provoca e supera il possibile contrasto tra giustizia e compromesso: “Per i profeti Dio è sfida, domanda incessante. Egli è compassione ma non compromesso; giustizia ma non inclemenza. L’anima del profeta non sa cos’è la tranquillità. Le miserie del mondo non gli danno requie. Mentre altri sono insensibili, refrattari persino alla loro insensibilità e inconsapevoli della propria durezza, i profeti restano esempi di impazienza suprema di fronte al male, non distratti né dal potere né dall’applauso, né dal successo né dalla magnificenza. La loro ipersensibilità al giusto e all’ingiusto è dovuta alla loro ipersensibilità all’interesse che Dio nutre verso ciò che è giusto e ingiusto. Nutrono una sensibilità feroce perché ascoltano in profondità”[7].

Gesù, la giustizia di Dio. Gesù incarna questa irrequietudine di poter coniugare la giustizia e la pace e la realizza in una sintesi esistenziale esemplare. Il discorso della montagna apre una via alla realizzazione storica delle parole del salmo: “Giustizia e pace si baceranno”. Nelle Beatitudini il tema della giustizia si incrocia con quello della pace e diventano i tratti caratteristici del discepolo del Regno: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati; (…) beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio; beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3-10). Gesù stesso auspica il superamento di una giustizia rigorosa e formale, al fine di realizzare una giustizia radicale nel senso dell’autenticità: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20). Questa radicalità della giustizia proposta da Gesù si esprime in un amore gratuito, che posa lo sguardo sui piccoli e i poveri e che porta a fare persino del nemico il prossimo da amare: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici” (Mt 5,44). Su questa via il discepolo di Cristo può tentare di testimoniare quella perfezione del Padre che si realizza nella misericordia e nella verità, nella giustizia e nella pace.

[1] Bereshit Rabbà 8,5.

[2] Pirqe’ Avot 1,18.

[3] Cf. Talmud Yerushalmi, Meghillà 3,6

[4] Cf. Avot deRabbì Natan 12,3.

[5] Cf. Talmud Babli, Sanhedrin 6.

[6] Cf. A. Di Porto, “Giustizia e pace si baciano”, p. 2, in: academia.edu (16.01.2024)

[7] A. J. Heschel, Il canto della libertà, pp. 42-43.

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